Giuseppe Bertorello

Classe 1941, è nato nel cuneese in una delle famiglie patriarcali del posto. Nel 1965 arriva a Roma, in un quartiere, Nuovo Salario, ancora in costruzione. Nel 1965 inaugura l’oratorio salesiano che in poco tempo diventa un punto di riferimento per gli abitanti, le famiglie e le centinaia di ragazzi che iniziano a frequentarlo. Da quel momento il sig. Bertorello diventa per tutti “Beppe”. Da oltre trent’anni presta il suo servizio nel Centro stampa dell’UPS

I primi anni della mia vita lottavo continuamente tra la vita e la morte. Mia nonna però, che era una santa, diceva: “se guarisce lo diamo a Don Bosco” e così è accaduto. Quando decisi di farmi salesiano mio papà non lo poté impedire. Di lui ricordo la serietà, era una persona che non faceva trasparire le emozioni. L’unica volta in cui mi disse che era contento della scelta che avevo fatto era il 1966, durante un soggiorno a Roma, dopo tredici anni che ero andato via di casa per entrare in seminario.

Le difficoltà economiche e mia mamma costretta su una sedia a rotelle per una “paralisi progressiva” - così si diceva a quell’epoca - non mi hanno fatto desistere dal desiderio di dedicare la mia vita a Dio seguendo le tracce di Don Bosco. Non so che coraggio ho avuto di andare, avevo dodici anni, ero molto timido, ricordo ancora le lacrime di tutti perché ero il primo che si allontanava dalla famiglia.

Arrivato a Torino, al Colle Don Bosco, chiesi al Direttore del collegio di fare lo stampatore, ma non c’era posto e mi affidò l’incarico di legatore. Vedete che avevo la vocazione dello stampatore, dopo trent’anni all’UPS!

Arrivai a Roma nel 1965, il giorno prima dell’inizio della seconda sessione del Concilio Vaticano II con Paolo VI. Alle cinque di mattina presi il primo treno per Roma, poi il 36 fino a Val Melaina. Sulla strada chiedevo indicazioni per l’Ateneo Salesiano e mi dicevano “Va’ va’ sempre dritto”. Mi feci tutta la strada con una valigia pesantissima sulla spalla, che una volta arrivato mi sembrava un miraggio. Era tutto in costruzione, avevano iniziato ad abitare solo alcuni palazzi di via Monte Cervialto e qualcuno abitava già in Piazza Vimercati. Eravamo in campagna, c’erano solo tre pecorai e la notte sentivo gli agnellini belare continuamente.

Il 23 settembre del 1965 abbiamo aperto l’oratorio, nelle “salette” che oggi sono abitate da alcune comunità del campus. Non c’era nulla, gli ambienti erano completamente vuoti. Scrivemmo a Paolo VI e ci inviò due biliardini e una carambola. Avevamo giusto una trentina di sedie vecchie e iniziammo così, proiettando un film. In quell’anno, il 1965, mentre il nuovo Pontificio Ateneo Salesiano iniziava il suo primo anno accademico, l’oratorio prendeva forma e attivava il suo servizio di attività pastorale. In poco tempo arrivammo a quattrocento ragazzi che frequentavano l’oratorio.

Non trovavo giusto che potessero giocare solo chi era organizzato a livello federale. Organizzai i campionati interni: facevo pagare 20 lire a partita e quando arrivavamo alla somma stabilita compravo magliette o un pallone. I ragazzi erano felicissimi. Sono arrivato a sessanta squadre di calcio, si giocava continuamente, dal lunedì alla domenica, anche a luglio faceva caldissimo ma si giocava. Avevano solo questo i ragazzi. Quanta gente si è salvata dalla droga grazie all’oratorio, trascorreva lì la maggior parte del suo tempo libero.

L’UPS mi ha dato tanto, mi ha permesso di svolgere un servizio e mettermi a disposizione dei giovani. Quanti studenti sono passati in copisteria, dai primi anni fino alla tesi. Moltissimi, soprattutto chierici, mi invitano ad andare nel loro paese, ma nessuno mi paga il biglietto dell’aereo!